Continuiamo l’analisi del Vangelo in funzione dei problemi pratici che tanto ci toccano, e che di fatto è fondamentale risolvere per dare anche alla nostra vita pratica quell’inquadramento spirituale, che non può essere fatta solo di astratti concetti, ma deve poter essere applicata anche alle quotidiane faccende. Oggi vediamo il problema della non-previdenza.
- Il Vangelo garantisce il sopravanzo
Di fronte ai beni materiali, il Vangelo prende subito una netta posizione: “Nessuno può servire a due padroni…Non potete servire Dio e Mammona”
Il punto di vista del Vangelo è quello del Cielo, che sembra giustificare un totale disinteresse per le cose materiali, il punto di vista della legge della sopravvivenza è quella della Terra, che sembra giustificare il possesso e il diritto di afferrare ogni cosa e tenerle ben strette.
Il Vangelo appare agli occhi di chi vive immerso nelle contingenze della vita materiale un’utopia irrealizzabile, e il mondo con le sue regole e le sue leggi feroci, avrebbe ragione a non applicarlo e Cristo avrebbe torto. D’altro canto Cristo lo ha insegnato perché potesse essere applicato, allora è il mondo ad essere in torto in quanto lo predica ma non lo pratica. In mezzo a questi due estremi vi è però una terza soluzione e cioè che esso venga applicato a dosi percentuali sempre maggiori, quelle massime sopportabili dall’individuo e dalla sua attuale natura umana.
Così la legge del Vangelo rappresenta una conquista di civilizzazione, che tende a far uscire dal basso piano animale l’umanità e farla progredire verso forme più evolute di civiltà, per gradi successivi come vuole l’evoluzione.
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Il Vangelo oltre a fare questa netta distinzione tra Dio o Mammona, però aggiunge: “non angustiatevi per la vostra vita di quello che mangerete, né per il vostro corpo di quel che vestirete. La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?…[…] Il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Voi dunque cercate soprattutto il Regno di Dio e la Sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sopravanzo.”
Cristo dunque ben conosce i bisogni degli uomini, così come li conosce la Legge, e sa benissimo che questi devono essere soddisfatti, e sarebbe una mancanza del Padre non provvedere affinché i propri figli abbiano il necessario. Però pone una condizione affinché queste necessità siano soddisfatte: ricercare soprattutto il Regno di Dio e la Sua giustizia.
Quindi la prima condizione per giungere all’applicazione e al funzionamento del Vangelo è la ricerca del Regno di Dio e la sua giustizia, che deve essere posta al primo posto, nemmeno al secondo, o niente affatto come invece fa il mondo.
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I beni della terra allora è giusto che siano posseduti, ed è pure indispensabile aggiungiamo, ma è lo spirito con cui li si possiede che fa la differenza. Si deve infatti possedere con spirito di povertà, senza egoismo e avidità, senza voler sempre più accumulare come invece normalmente si desidera, ma mettendo il superfluo a servizio del bene altrui; facendosi amministratori della ricchezza, che fecondata dal proprio lavoro, diventa funzione sociale di accrescimento e benessere collettivo e distribuita, e non dispersa, agli altri, quando questi diano a loro volta prova di capacità produttiva e lavoro.
“Il Vangelo così ci vuole poveri di spirito, distaccati, uomini che posseggono con altro animo, completamente diverso da quello proprio al comune tipo biologico umano” (Pietro Ubaldi, Evoluzione e Vangelo)
Così possedere o non possedere ha una importanza relativa di fronte alla natura e alla psicologia di cui siamo fatti. Ciò che conta è l’essere umano e il proprio carattere, con le sue qualità.
Il Vangelo è legge di giustizia, che ammette i giusti diritti, quando siano stati fatti prima tutti i propri doveri. Questo significa cercare il Regno di Dio e la Sua giustizia.
Il Vangelo accompagna l’uomo, il suo lavoro, la sua vita, ma non ci esime affatto dalla fatica e dal lavoro che ci spetta. Il Vangelo ci toglie l’affanno del lavoro, ma non il lavoro, “non datevi pena per il domani, a ogni giorno basta il suo affanno”.
Ci toglie dall’ansia, sempre negativa perché obnubila la nostra mente, togliendoci utili energie e che è controproducente perché paralizza: ci guida ad uno stato di calma e fiduciosa tranquillità, liberandoci dall’avidità e dalla paura che ci manchi il necessario. Ci toglie dall’ansia della preoccupazione, ma ci chiede il giusto e quotidiano lavoro.
Il lavoro attraverso una nuova consapevolezza si arricchisce di valore, poiché esso diventa funzione sociale e bene collettivo. Non più solo lavoro-guadagno, ma lavoro-arricchimento interiore, che è il primo e vero valore che si va a costruire, a cui la retribuzione in denaro diventa una giusta conseguenza ma non più il primo obbiettivo. Il denaro allora non diventando più lo scopo della fatica del vivere, riacquista la sua posizione che è quello di strumento per vivere, di mezzo per sostentarsi e non il fine del lavoro. Ogni cosa ha il suo giusto valore se mezzo alla posizione che gli spetta. L’errore allora sta nel troppo denaro, non onesto, non frutto di lavoro, non mezzo di cose buone ma fine a se stesso.
“Le cose in se stesse non sono né buone né cattive. Tutto dipende dall’intenzione e dallo scopo con cui si fanno. Solo con l’uso che ne fa l’uomo, entrano nel mondo morale. Tutto è buono quando se ne fa l’uso buono, tutto diventa cattivo, se se ne fa cattivo uso.” (Pietro Ubaldi, Evoluzione e Vangelo)
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- “Chi non lavora non mangia” (S. Paolo)
“Non è la ricchezza in sé che merita condanna: perché essa è una forza che può, se ben adoperata, essere un mezzo potente per realizzare il bene. Ma merita condanna la psicologia di avidità che è la sua aureola naturale, l’atmosfera soffocante che spesso emana, il male che per conquistarla non si ha riguardo di compiere, le aberrazioni che provoca, l’orribile genere di anime che attrae e di cui si circonda, la schiavitù, l’asfissia, l’abiezione spirituale che spesso costa.” (Pietro Ubaldi, Storia di un uomo)
Il concetto di povertà evangelica allora nel nostro mondo attuale non ci esime dal lavoro, anzi il lavoro è un dovere imprescindibile per l’essere umano. San Paolo diceva di se stesso: “lavorava con le sue mani, per non essere a carico di nessuno”(Atti, XX, 33-34).
Il lavoro può essere visto come condanna solo dall’involuto, che ripudia la fatica e aspira solo al godimento. Che alza la voce per i propri diritti, ancora prima di aver fatto il proprio dovere, che spesso comunque fa controvoglia.
Il lavoro invece acquista per l’evoluto un mezzo indispensabile per la propria affermazione spirituale; esso non solo è un dovere verso il prossimo, che lo affratella nella stessa fatica, ma è anche uno strumento per la propria edificazione interiore. E’ lo strumento per edificare il maggiore dei valori: l’essere umano!
Il Vangelo insegna ad essere poveri di spirito, il che significa essere semplici, umili, non essere pieni di avidità, di egoismo.
Esso si esprime massimamente in questo comandamento: “Ama il tuo prossimo come te stesso”, questo implica due cose: Per prima cosa l’amore per gli altri, che corrisponde allo sviluppo dell’istinto di evoluzione, espressione dell’espansione sempre maggiore del nostro amore e l’inclusione dei nostri simili nella nostra vita, e in secondo luogo la misura di questo amore: come te stesso, misura massima. Il che significa dare all’amore per gli altri la stessa forza ed intensità che noi abbiamo per noi stessi, come lo esprime l’istinto di conservazione individuale.
Sulla base di questo comandamento, allora è giocoforza che non si possa trattenere il superfluo per se stessi, ma che esso vada dato a chi manchi del necessario. “Quod superest date pauperibus”.
Così diventa ingiustizia e ricchezza colposa: l’eredità oziosa, il furto, il gioco d’azzardo, l’arricchirsi sfruttando il lavoro altrui, la speculazione finanziaria, e può arrivare come abbiamo visto ad includere anche l’accumulo di denaro e beni oltre il necessario per lo svolgimento di una vita semplice.
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- Tipi biologici e metodi
Possiamo vedere allora 3 modi differenti, che corrispondono a 3 biotipi umani, di concepire la proprietà e usare i beni materiali, incluso il denaro.
- L’involuto, che concepisce la proprietà come vittoria sul più debole, ammettendo la forza ed il furto come mezzi per raggiungere il fine del possesso
- L’uomo civilizzato, che vive nella società, concependo la proprietà per la difesa ed il mantenimento di sé e della propria famiglia, usa il sistema del lavoro, ma ammette l’accumulo di beni, l’arricchimento anche attraverso le vie concesse dalle leggi dello stato: eredità, vittoria al gioco, investimenti finanziari, speculazioni ecc
- l’uomo evangelico ed evoluto, che ha superato l’egoismo individuale del primo tipo, e quello collettivo del secondo, si è liberato di ogni attaccamento ai beni materiali, che egli amministra solo per senso di missione e che adopera solo come strumento di lavoro per scopi morali: egli è il tipo biologico che vive secondo giustizia non accettando beni che secondo il bisogno, le qualità e il merito.
Per ogni biotipo abbiamo una legge che regola la vita ai 3 diversi livelli:
- Per l’involuto nascono le sanzioni penali con lo scopo di circoscrivere e isolare, il furto, la violenza e l’evasione
- Per il civilizzato, nasce una giustizia sociale, che impone comunque delle leggi esterne che lo vogliono educare e formare a nuove abitudini e istinti. Essendo una forma coatta, non ottenuta per le vie della persuasione, porta a risultati formali, ma non sostanziali, poiché non sentite, ma comunque necessarie ad educarlo. Questa è di fatto l’utilità delle leggi del diritto.
- Per l’evoluto, vi sono i Principi della Legge, che vengono applicati per convinzione interiore, in forma sostanziale, dovuti alla maturazione della coscienza.
Al terzo livello che è il più evoluto, sono inclusi i due precedenti, quindi è implicito da parte dell’evoluto il rispetto della giustizia sociale della legge umana, il rispetto del codice legislativo del diritto. Il più comprende il meno. E’ evidente e balza subito agli occhi, come per l’evoluto le responsabilità siano maggiori, e la sua libertà è dominata e diretta dalla sua coscienza che diventa più inflessibile e disciplinata rispetto ai due piani precedenti.
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- Errore comune
Nella comune mentalità umana, le parole espresse dal Vangelo sul concetto della povertà, vedi all’inizio dell’articolo, sono prese e interpretate, contorcendone il significato e trovando un adattamento che non provochi nei fatti alcun cambiamento sostanziale.
Allora si cerca di intendere la povertà in senso di distacco dei beni, per cui tutto si riduce ad un semplice atteggiamento mentale e la rinuncia, quella vera, ad una pura astrazione teorica, il che offre l’immenso vantaggio di tenersi la ricchezza, senza nulla perdere.
Così il fine è raggiunto: si resta padroni della ricchezza, ci si qualifica come distaccati dai beni, relegando tutto al solo aspetto mentale, che tanto va di moda, e così ci si sente a posto con la coscienza e si pensa di essere allineati con la Legge e con il Vangelo.
Se infatti abbiamo all’inizio espresso il concetto di un indispensabile atteggiamento interiore, che abbiamo chiamato spirito di povertà, e che qualifica l’assenza di egoismo e di cupidigia, questo però ci mette nelle doverose condizioni di praticare questa attitudine interiore e non lasciarla al campo delle sole astrazioni mentali, che tanto fanno comodo, Altrimenti il risultato sarà il seguente: lo spirito rimarrà sempre asservito al corpo, il Vangelo non è vissuto, e l’uomo si illude di essere spirituale, mentre rimane sempre profondamente materialista, l’evoluzione non è raggiunta.
Bibliografia di riferimento: Cristo e la Sua legge, Evoluzione e Vangelo, Storia di un uomo, La nuova civiltà del III Millennio, Un destino seguendo Cristo (Pietro Ubaldi)
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