L’etica incondizionata della gratuitá

Il campo dell’Etica, abbiamo visto essere un campo di realizzazioni progressive, in relazione al piano evolutivo raggiunto dall’essere umano nel suo percorso di risalita dall‘Anti-Sistema al Sistema, punto finale di arrivo, che corrisponde alla riconquista della purezza dell’essere, all’ri-unione perennis con Dio, nella Trascendenza, al dissolvimento o riassorbimento del dualismo, nel fondamento originario dell’Unitá.

Abbiamo visto come Ubaldi parli di un’etica utilitaria, basata sulla conoscenza dei principi della Legge, condizione indispensabile per orientarci nel mondo, cercando di evitare tentativi inutili e dispersivi, al fine di prevenire gli errori e la colpa, e le conseguenze dolorose che questi comportano, e che dovremo necessariamente pagare,  secondo la legge del Karma.

Questa Etica si basa sull’acquisizione della conoscenza e sullo sviluppo della nostra intelligenza, ed è comunque un’utilitá sana, giacché implica che non vi sia alcun vantaggio personale che non includa il vantaggio anche degli Altri, anzi, si può a ragione dire che il vantaggio personale sta nel fare innanzitutto il bene per gli altri.

Questo “calcolo” delle forze in gioco, allora mostra in realtà la necessità di un lavoro interiore, ed un costo da parte dell’individuo, che posto lungo la scala evolutiva, deve necessariamente fare i conti con sé stesso, con il proprio egoismo ed egocentrismo, con la propria natura sensibile, che è chiamato a vincere, per riuscire ad evolversi ed avvicinarsi così al proprio essere autentico, posto nella Trascendenza del Sistema.

L’etica presentata da Ubaldi, pone le proprie basi necessariamente partendo da una prima conoscenza oggettiva, di natura intellettuale.

Trattando l’argomento come una datitá di tipo scientifico, positiva, in grado di penetrare la ragione, spiegando i principi della legge di Dio, come se parlassimo della legge di gravità, o di attrazione nelle energie.

Tutto questo per rendere accessibile, anche se in modo imperfetto ed inadeguato, la Trascendenza (Dio), al linguaggio che la nostra forma mentis può cogliere.

Comprendere intellettualmente però non è l’ultimo grado della nostra ascesa evolutiva, ma un primo passo necessario a chiarificare il percorso che dobbiamo vivere con tutto noi stessi, in prima persona, in modo tale da poter dirigere la nostra evoluzione.

L’Etica allora diverrà incondizionata, cioè non più soggetta a calcoli utilitaristici, ma soggetta alla sola gratuitá nel momento in cui con la nostra esistenza e nel suo continuum, nelle decisioni che prendiamo, dirigeremo consapevolmente il nostro destino, agendo secondo l’incondizionatezza della libera scelta, per convinzione, per credo assoluto nel valore in sé e per sé di quello è  giusto ed il è bene.

Attraverso la libera scelta incondizionata, il nostro essere tocca la Trascendenza, si unifica alla Legge: trova il suo fondamento originario: la vita è libero dono di sé.

L’incondizionatezza, implica l’agire secondo la fede, l’amore altruistico, la giustizia, il dovere.

Essa ha sempre un costo, dato dall’abbattimento del nostro egoismo; questo può comportare nei casi più decisivi, anche la perdita della propria vita fisica, del nostro esserci al mondo, in virtù della vita piena dell’essere autentico, il nostro , come fu il caso di individualità eccezionali che hanno solcato il nostro mondo: Socrate, Giordano Bruno, Boezio, Giovanna d’Arco e sopra tutti Cristo.

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Alla domanda “Che cosa devo fare?” vi sono due modi di rispondere:

  1. Adducendo dei fini e i relativi mezzi per raggiungerlo, che chiamiamo agire condizionato.
  2. Avendo l’origine del proprio agire nel mio profondo essere, che chiamiamo agire incondizionato.

Nel primo caso si è spinti all’azione o da una autoritá esterna che ci comanda e ci obbliga, oppure dal nostro mero esserci fisico, identificando le nostre azioni solo con l’immediato interesse personale, del nostro io psico-fisico contingente.

Nel secondo caso l’azione è di ordine superiore, ispirata dalla Trascendenza dell’essere autentico, che per noi ha la stessa valenza dello spirito o scintilla divina.

L’esigenza incondizionata dunque si annuncia in me come l’esigenza del mio autentico essere all’interno del mio mero esserci. Mi interiorizzo a me stesso come ciò che io sono in quanto devo esserlo” (Karl Jaspers -introduzione alla Filosofia)

Vediamo come la posizione dell’essere non sia dunque mai definitiva, ma in divenire, non basta dunque essere, ma bisogna dover essere, conforme al concetto di evoluzione e trasformismo della nostra personalità.

L’incondizionato non è ciò che è voluto, ma ciò in base a cui si vuole. È una condizione a-priori, prima del fenomeno, prima della sua stessa manifestazione. L’essere è nascosto, dietro al fenomeno che si palesa. È in germe dentro di noi, latente:  dormiente quando viviamo nella coscienza mondana nel dualismo soggetto-oggetto, risvegliato quando la coscienza ritrova il fondamento dell’unità: fondamento che i mistici hanno vissuto in prima persona e che rimane nella sua realtà incomunicabile e inaccessibile a chi non lo sperimenta.

Dice infatti Plotino: “Sovente, risvegliandomi dal sopore del corpo, scorgo una stupenda bellezza: credo allora nel modo più sicuro alla mia appartenenza a un mondo migliore e più alto, credo che operi potentemente in me la suprema vita, e di essermi immedesimato con la divinitá”

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Quando si agisce in modo incondizionato, l’essere si eleva al di sopra del tempo, e tocca l’eternità e la libertà propria dello spirito. Ma queste scelte non sono mai definitive, perché possiamo sempre perderci e cadere.

Nella scelta incondizionata si decide su cosa riposa la vita di un uomo, se essa abbia un peso o sia nulla; se sia piena o vuota, se sia sostanziale o vacua.

Il nostro vero essere, si radica e fa breccia nella nostra personalità, solo nella scelta incondizionata. Chi non vive nell’incondizionatezza non ha radici, e come un arbusto che si svelle e si trapianta, e si coltiva in massa, cioè si rende conforme alla massa, vivendo la vita del “si fa così“, del “si pensa così”, del “piace così”, del “si deve così”.

La scelta incondizionata  ha però la necessità di essere sempre scelta di nuovo, ogni giorno, riconfermata,  in quanto posso sempre perdermi e annullarmi: al contrario l’incondizionatezza, come una luce che apre un varco nella notte, può farmi riprendere e rinascere, anche dopo una serie di condizioni annichilenti, a ogni attimo, per ricominciare tutto da capo, attraverso l’improvvisa immedesimazione nella Trascendenza e unione con il divino.

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Nella scelta incondizionata si sceglie ciò che nella distinzione di bene e male, si assume come bene.

Ciò che è male lo possiamo identificare su tre piani:

Sul piano morale ciò che è male sta nel soddisfare tutte le nostre inclinazioni naturali, legate al nostro esserci fisico, al piacere, agli impulsi immediati, alle nostre passioni irrazionali. All’opposto l’ incondizionatezza si manifesta nella scelta morale, nell’obbedienza autonoma alla propria ragione e coscienza: senza per questo rifiutare la gioia dell’esserci al mondo, ma sottoponendola alla validità morale e al senso del giusto e della misura.

Sul piano etico, il male si ha quando la scelta morale però può essere in un certo senso pervertita, cioè quando mi limito a fare il bene quando questo non mi porta alcun costo, quindi a seguire, come direbbe Kant, la mia naturale inclinazione: ad esempio la simpatia verso qualcuno, dunque la preferenza arbitraria: quando sono predisposto da una situazione felice e mi sento “in vena” di fare del bene, dal sentimento o affetto verso i più vicini, come i soli membri della mia famiglia o gli amici stretti.

Spesso può accadere che nel caso di conflitto tra l’esigenza morale e i miei interessi immediati, sono pronto, a seconda dell’importanza di questi interessi, a coprirmi di ogni inconfessabile infamia.

Il caso più estremo è che per non morire io sia disposto a commettere anche assassini su comando.

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Dunque su questo piano vale la purezza dei motivi, che preservano il nostro agire dal suo degradarsi in motivi egoistici e di interessi meramente personali.

“Il bene consiste quindi nel sottrarsi al costante autoinganno connesso alla non purezza dei motivi, per conquistare la dignitá originaria dell’incondizionato” (Karl Jaspers -introduzione alla Filosofia-)

Il terzo livello si ha invece quando si ha proprio una volontà di male, di distruzione come tale, come impulso nichilista di distruzione, di odio, e di tutto ciò che ha un valore.

Il bene al contrario è l’incondizionato amore, che è volontà di realizzazione e costruzione. In questo caso tocchiamo un piano metafisico che consiste nell’essenziale purezza dei motivi.

Vediamo allora che l’amore si contrappone all’odio, l’amore spinge all’essere, l’odio al non essere. L’amore sorge nel rapporto con la propria trascendenza, l’odio, al contrario ci porta alla nostra dissoluzione nel nulla.

In tutti e 3 i piani si determina la necessità di una scelta e l’esigenza di una decisione.

Nell’agire incondizionato vi è la gratuitá delle intenzioni da parte dell’essere che si fa autentico, agendo per il bene altrui, nella propria libertà. Vi è naturalmente anche una finalità, che la soddisfazione del bisogno altrui, e in tal senso è utilitaristica per il destinatario: ne soddisfa le necessità.

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Se l’uomo vuole realizzare la sua essenza, e armonizzarsi con la Legge, e toccare la Trascendenza non può scegliere questo e quello, seguire le proprie inclinazioni ed esercitare il dovere, scegliere l’inquinamento e la purezza dei motivi, oppure fondare la propria vita sull’odio e l’egoismo e sull’amore e l’altruismo. 

O Dio o mammona, o uno o l’altro.

Però l’uomo può rendere la propria decisione equivoca, snaturandola senza decidersi veramente, spesso ondeggia, vacilla tra il giusto e l’ingiusto, tra l’egoismo e l’amore, tra i propri impulsi immediati e la propria coscienza etica.

L’essere umano spesso vive in modo contraddittorio anche con sé stesso, frammentato e diviso in sé. Già questa indecisione è male.

L’uomo diventa sé stesso soltanto quando nel suo agire viene deciso ciò che egli vuole, come incondizionatezza.

L’azione incondizionata si risolverebbe nell’amore, se noi ne fossimo all’altezza: Agostino disse: “ama e fa ciò che vuoi”.

Ma per noi al nostro livello evolutivo non è possibile sempre amare incondizionatamente, così diventa necessaria la disciplina della costrizione, attraverso cui ci rendiamo padroni delle nostre emozioni e dei nostri impulsi: è indispensabile la diffidenza nei riguardi di noi stessi quanto alla purezza dei motivi che ci spingono ad agire, disciplinando il pensiero e le intenzioni, ancora prima degli atti.

Spesso cadiamo nell’errore proprio quando ci sentiamo sicuri.

Ci dice Jaspers che è l’incondizionatezza del bene che dà un contenuto al vuoto dovere, che purifica i motivi morali, che dissolve le capacità di annichilimento dell’odio.

Il fondamento dell’amore è tutt’uno con la volontà di realizzarlo nel mondo: ciò che amo voglio che sia reale e per questo lotto e soffro.

Bibliografia di riferimento: Caduta e Salvezza (Pietro Ubaldi), Introduzione alla Filosofia (Karl Jaspers)

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