- La legge sociale del Vangelo
L’evoluzione dell’essere umano, procede in due direzioni complementari l’una all’altra: una direzione verticale, cioè la nascita del superuomo dello spirito (che nulla ha a che vedere con il superuomo di Nietzsche, che ha il suo fondamento sulla forza) e una direzione orizzontale, cioè la nascita di una società collettiva fondata sulla giustizia e la fratellanza.
Queste direzioni di progresso, sottostanno a due principi fondamentali presenti nell’Universo, che si ripresentano, per analogia, a diversi livelli (come per esempio lo sviluppo della cellula in biologia, o delle molecole in chimica): questi due principi corrispondono al principio di differenziazione (o di specializzazione per quanto riguarda il singolo e il suo sviluppo) e al principio delle unità collettive (o complessificazione, per quanto riguarda la società)
Il Vangelo risolve il problema della convivenza sociale, con un concetto quanto mai semplice: ama il tuo prossimo come te stesso. Questa è la perfezione.
La distanza che separa la nostra vita attuale da questa perfezione è tutt’ora immensa. Tutto nel nostro mondo è ancora e da sempre basato sulla lotta. Da sempre il conflitto dialettico tra due posizioni opposte, regola da sempre la nostra società: il contrasto tra i ricchi e i poveri, tra i liberi e gli schiavi, tra i patrizi ed i plebei, tra borghesia e proletariato, tra Stato e Chiesa, in campo economico fu tra Capitalismo e Comunismo. Questi conflitti hanno dato vita, dopo lunghi tempi di maturazione, alle rivoluzioni, in cui le posizioni di dominio si sono sempre ribaltate, cambiando però più nella forma che nella sostanza.
Tutto nel nostro mondo si conquista attraverso la lotta. Questa legge è figlia della nostra posizione evolutiva, un momento all’interno della più grande traiettoria evolutiva dell’intero Universo. Il tipo di lotta, i suoi metodi corrispondono al livello raggiunto dall’essere umano: le modalità rivelano ciò che siamo. Con il nostro progresso interiore, la lotta passerà da essere violenta e brutale, per poi farsi di sottile intelligenza (negativa) ed astuzia, fino a diventare lotta onesta, sotto forma di fatica, sacrificio e collaborazione.
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- Il problema economico
Fatta questa premessa, vediamo come l’uomo sia sempre assetato di nuove conquiste, spinto da un irrefrenabile impulso, quale è l’istinto di evoluzione e di miglioramento, istinto espansionista che prende, come la lotta, forme e realizzazioni diverse a causa dell’incoscienza umana, la quale vede miraggi e manca la vera Meta: abbandonare l’Anti-Sistema per far rientro nel Sistema.(per approfondimenti leggere qui)
Ma è proprio attraverso questi miraggi, che la Legge fa avanzare l’umanità, rispettando la necessità della libera sperimentazione, verso le più alte realizzazioni dello Spirito, riconducendolo verso di Sé per ritrovarsi a vivere nel Suo Ordine, e nella Sua Armonia.
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Nella nostra attuale società la vita dell’uomo, ancora al suo stato infantile, si basa sul principio edonistico: do ut des è il principio che regola i rapporti sociali ma anche gli affari e l’economia: l’egoismo e il vantaggio personale è la molla motivante delle nostre azioni. Così anche il principio di espansione e di miglioramento economico si fonda sul principio del proprio utile personale o di classe, lasciando al di fuori tutto il resto.
Il principio edonistico è il principio anticollaborazionista per eccellenza. Egoismo di produzione, egoismo di consumo, egoismo di capitale, egoismo di lavoro, egoismo individuale, egoismo di classe, egoismo di nazione; coalizioni di egoismi contro altri egoismi! Lotta verticale tra lavoratori e imprenditori, lotte orizzontali tra i lavoratori, e tra capitalisti contro altri capitalisti, lotta di Stato contro i privati e il contrario. Competizione, concorrenza, è il leit motiv della nostra società alienata.
Così i prodotti, il capitale, il lavoro si muovono, o vengono trattenuti, sempre guidati dal medesimo impulso; l’egoismo e l’avidità.
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Nei sistemi capitalisti, si produce per lo più non per un bisogno altrui da soddisfare, ma si offre una merce per ottenere profitto, quindi si è mossi dal proprio bisogno, e non dalla coscienza dei bisogni reciproci reali. I bisogni vengono creati ad arte, sintetici e superficiali.
Anche in economia, la legge della domanda e dell’offerta, si basa su un attrito, una lotta tra produttori e consumatori: il produttore crea un bisogno, il consumatore, allettato e sedotto, lotta per averlo. Più ne vuole e più bisogna correre per produrlo, ma bisogna poi sempre crearne un tipo nuovo, per creare nuovo consumo e nuovo bisogno e via così.
Sul tavolo appetiti insaziabili, che tra domanda e offerta muovono l’economia del consumo. L’offerta si riduce così ad una richiesta di denaro, in cui l’interesse del consumatore è marginale e fittizio, e dove prevale l’egoismo del produttore. In questo meccanismo vi è anche il lavoratore, chiamato a produrre, che in questo sistema è spesso sfruttato, sottopagato e/o sovra impiegato: senza alcuna proporzione tra lavoro e guadagno.
All’interno della legge di domanda ed offerta, dove valore e prezzo sembrano riequilibrarsi secondo giustizia, soggiace però uno squilibrio originario, che è quello dell’egoismo che vuole prendere il sopravvento appena può, cioè accumulare ricchezza, denaro, che è il fine reale che si propone. Inoltre la legge della domanda e dell’offerta non può essere considerata giusta, là dove vi siano individui indigenti, che si trovano in condizioni di reale bisogno e dove gli individui più abbienti tendono ad accumulare tutto per sé. Così i beni non seguono la via del bisogno, ma dell’avidità, la ricchezza si sposta dove vi è altra ricchezza e anziché essere un aiuto per la società è un danno.
La psicologia capitalista, così muove il denaro dove già ce n’è, gonfiando le tasche di chi già molto possiede, e non dove serve e dove potrebbe essere salvata una vita umana. Così il valore, non sono i bisogni reali dei nostri simili, che sono un non-valore economico, ma la solida ricchezza economica su cui ruotano gli interessi di chi nella vita ha saputo o potuto imporsi sugli altri.
La nostra stessa società individualista, esalta chi ha saputo arricchirsi, non importa se avido e senza scrupoli e biasima coloro che danno perché così si impoveriscono. La virtù dell’altruismo è applaudita e onorata nella forma, ma è richiesta sempre agli altri e mai a sé stessi, per poterla meglio sfruttare.
La nostra società e il nostro sistema economico premia in sostanza chi più sa prendere, invece di chi sa più dare!
Il principio del do ut des genera infatti una lotta per prendere il massimo e dare il minimo: Tale principio oltre che avere le proprie radici nella lotta, è inquinato alle fondamenta dalla psicologia del furto, del calcolo del proprio tornaconto e del soddisfacimento del proprio bisogno e non di quello reciproco, secondo un principio di vera giustizia sociale.
Se è vero che il capitalismo ha portato al maggior benessere economico di milioni di persone, e che lascia libero campo alla libertà individuale, non ha raggiunto affatto la giustizia sociale ed un vero benessere integrale dell’individuo, dove una società di produzione e consumi ha lasciato arido il campo dello spirito: e soprattutto non ha risolto il problema della povertà e dello sfruttamento del lavoro: anzi ad oggi la forbice ricchezza e povertà si sta aprendo, a vantaggio di pochissimi e a danno di moltissimi. L’arricchimento veloce inoltre non è mai figlio dell’onestà e del solo lavoro, e l’economia è ingolfata di speculatori finanziari che come avvoltoi attendono il momento propizio per colpire e arricchirsi. Per non parlare di come, un sistema di iperproduzione abbia contribuito ai danni ecologici, allo sfruttamento intensivo della terra, e delle sue risorse.
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- La distribuzione della ricchezza
Se fino qui abbiamo messo in evidenza gli svantaggi di un approccio capitalistico dell’economia, basata sul profitto, e della sua rettifica, ora bisogna evidenziare, per contro, le utopie dei livellamenti economici.
Le nostre argomentazioni si basano sempre sulle leggi della vita, di cui un’ideale economico e sociale fa comunque parte e da cui non può prescindere.
Gli equilibri della vita sono fatti di disuguaglianze, a causa delle nature diverse, e rispondono pertanto a giustizia le posizioni diverse, relegando ad un assurdo il livellamento di individui sostanzialmente disuguali.
Quel che conta non è tanto la posizione formale assunta da un individuo, quanto la sua reale natura, le sue qualità e le sue inclinazioni: pertanto non vi è imposizione esterna che tenga, come avrebbe voluto imporre l’ideologia comunista, perché qualsiasi livellamento forzoso sarebbe andato distrutto.
Il comunismo ebbe il merito di cercare di mettere le basi per una società collettiva, più equa e giusta ma lo ha fatto con il metodo della forza e della violenza. Il problema della giustizia economica-sociale, non si risolve dunque espropriando i mezzi di produzione e la proprietà privata, ma attraverso un comunismo sostanziale di doveri, lavoro, responsabilità nonostante le necessarie differenze di livello, che esprimono le differenze di tipi (principio di specializzazione) e di valori.
I principi della vita sono più sapienti dei nostri sistemi di livellamento sociale e ottengono equilibrio attraverso la disuguaglianza, perché non tendono all’appiattimento verso un tipo unico, ma alla differenziazione, e alla riorganizzazione di specializzazione all’interno dell’organismo collettivo.
Così è più utile all’intera società, che ognuno svolga il ruolo produttivo a cui è chiamato, in base al proprio merito e alle proprie competenze e capacità. Più un sistema sociale è evoluto e maggiore è la specializzazione dei suoi elementi costitutivi, poiché questo garantisce l’ottimizzazione del lavoro, il massimo rendimento con il minimo sforzo, secondo la legge (di natura) del minimo mezzo.
In una collettività evoluta ogni individuo e classe rimane tranquillamente al suo posto, senza coazioni, così come ogni cellula dell’organismo lavora con precise funzioni al mantenimento e alla vita dell’intero corpo.
Le differenze infatti sono fatte per completarsi, compensando i punti deboli che le varie posizioni hanno intimamente al loro interno. Complementarietà di opposti, cooperazione di specialità e competenze, questo è il futuro di un società economicamente e socialmente giusta.
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Non dobbiamo fermarci alla superficie dei fenomeni, confondendo l’uguaglianza di superficie con la giustizia. La vita ha già posto ogni individuo alla posizione che gli compete, e la giustizia è già in atto: tutto è già compensato con equilibrio.
L’errore nostro sta nel considerare migliori le alte posizioni sociali, e lo spirito di uguaglianza è il più delle volte mosso da invidia e gelosia, dal voler essere nei panni di colori che hanno di più, per poter godere allo stesso modo dei loro privilegi, senza rendersi conto che si commetterebbero gli stessi errori!
Non si comprende che le posizioni poste più in alto nella scala sociale, sono quelle più a rischio di caduta, le più instabili e insicure, le più gravose di responsabilità: al contrario le posizioni più basse sono le più stabili, anche se più povere.
Una posizione sociale elevata implica non solo privilegi, ma anche vulnerabilità, attacchi, minacce e un continuo lavoro per difenderla. Non a caso nella storia le rivoluzioni, su tutte quella francese, hanno dato dimostrazione di questo pericolo e di questa fragilità. Tutte le aristocrazie nella storia sono state ribaltate, hanno perduto i loro poteri e cessata la loro funzione la vita le ha liquidate.
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Nella vita vale il principio che chi più ha più deve dare, dando prova di maturità e responsabilità delle capacità e dei mezzi di cui dispone: mancare a questo dovere è tradire i fini della vita. E mancare questo dovere significa perdere poi questa privilegiata posizione. Così i ricchi non vanno invidiati, poiché questa può essere per loro una prova, una condanna, ed una condizione di rovina.
Quello che stabilizza e definisce una proprietà allora non è semplicemente un concetto giuridico e di superficie, pronto a sgretolarsi nelle mani del possidente quando questa non è stata fatta fruttare per il bene collettivo, ma il buon uso che si fa della proprietà e della ricchezza.
Quindi una proprietà può spettare di diritto nelle mani di chi sa utilizzarla come funzione sociale, e che di fatto diventa una proprietà sostanziale perché investita delle qualità etiche e dei valori spirituali di chi la possiede per il bene di tutti. Una proprietà siffatta va perdendo il carattere edonistico e il vantaggio personale, e ha garanzie di durare più a lungo.
Se inoltre comprendiamo il fatto sostanziale che la vita è in sé un movimento, un eterno divenire, dove nulla è statico, la proprietà diventa un usufrutto, cioè qualcosa di temporaneo che ci è dato per una funzione ben precisa, che non è quella del vantaggio individuale a scapito di quello altrui.
Così la proprietà è sostanzialmente legata all’acquisizione di qualità, di meriti, di diritti strettamente connessi alla nostra personalità. Una volta spogliata dell’egoismo e dell’avidità, quindi della quota di Male che la riveste, e intrisa di onestà e altruismo, quindi di Bene, passa da un segno -, in perdita a lungo termine, anche se magari accompagnata da un utile immediato, ad un segno +, in guadagno stabile e duraturo a lungo termine, garantito dalle forze della vita.
Abbiamo così compreso che la ricchezza, in sé è un valore neutro: essa acquista una connotazione negativa solo quando è nelle mani di un essere ancora involuto; che ne fa un motivo di potere ed un fine personale. Essa acquisterà un valore positivo, là dove sia nelle mani dell’evoluto, che saprà trasformarla in funzione sociale.
Lo stesso Vangelo si esprime diversamente davanti alla ricchezza a seconda delle mani in cui si trova e di come viene utilizzata: essa è maledetta e chiamata lo sterco di Satana, là dove essa è egoismo, avidità (fase edonistica), ed è benedetta quando è nelle mani della vedova che dona tutto quello che ha per aiutare gli altri (fase collaborazionista).
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Il futuro della nostra società sarà quello di giungere ad una economia collaborazionista, con teorie economiche diverse da quelle attuali, più semplici, ma più sostanziali.
Le nostre attuali e complicate teorie economiche, difficilmente comprensibili se non ai pochi, non hanno di fatto risolto il problema della povertà, delle crisi economiche, del vero benessere della società. L’economia, come ogni campo della vita, deve essere intrisa di etica.
Come si fa infatti a pensare che un sistema fatto di egoismo e di distruzione, seppur basato sulla produttività, possa apportare benessere e felicità per tutti? Così come si può pensare di raggiungere la giustizia sociale a suon di rivoluzioni violente e sanguinarie? La storia ci insegna, come Robespierre, che chi di ghigliottina ferisce, di ghigliottina perisce.
Diventa così necessario prima rifare l’uomo, costruire le sue qualità morali e spirituali, e su questo rifondare il concetto dell’economia e di giustizia sociale. Il lavoro deve essere fatto da tutti, dirigenti e sottoposti, anche se è dalla testa che dovrebbe partire il cambiamento maggiore, trainando, attraverso un’infusione di cultura, di valori morali, e di esempio pratico coloro che sono più in basso!
Questo però non deve essere, come spesso accade, una giustificazione ad aspettare che gli altri siano quelli a fare la prima mossa. Ognuno nella propria posizione può e deve armonizzare la propria personalità con l’Ordine della Legge, ed inquadrando la propria vita all’interno del funzionamento organico dell’Universo non avrà di che preoccuparsi per il proprio futuro; anche dal punto di vista materiale.
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- Capitale e lavoro
Abbiamo così visto fino a qui i più importanti errori di impostazione del problema economico che l’evoluzione supererà: si passerà, in un lontano futuro, da questo tipo di economia egoista ad una economia collaborazionista, in cui il fattore morale entrerà quale regolatore della produzione e del consumo, come anche del capitale e del lavoro: valori ineliminabili pena il disastro totale della nostra società.
Il capitale ad oggi, inquinato all’origine dalla disonestà e dall’egoismo, sarà sempre infecondo, instabile ed insicuro, sempre sotto minaccia, nonostante tutti i sistemi e leggi che mirano a proteggerlo, a regolamentarlo e a moltiplicarlo: è mosso dunque spesso da attitudini rapaci a anti-sociali, dove viene premiata la libera iniziativa, per lo più individuale, a scapito del principio sociale di uguaglianza e di collaborazionismo.
Il lavoro che con la produzione, distilla capitale, e a sua volta, è vissuto ancora oggi come una condizione di lavoro-oppressione, lavoro-bisogno, condizione di attriti, di lotte, e spreco di energie utili.
Si dovrà giungere ad una posizione di dialogo e cooperazione tra le due posizioni: la prima, l’imprenditore dovrà dare le migliori condizioni di lavoro possibili, in termini di orario, di salario, welfare ecc, ed il lavoratore dovrà a sua volta non chiedere di più di quanto l’imprenditore possa offrirgli, dando la propria specializzazione e competenza, evitando assenteismi, lassismo, incuria, opposizioni e proteste continue.
Da entrambe le parti dovrà prima valere la legge del dovere, di aver fatto tutto quello che è nella propria posizione e competenza, per gli altri, e solo dopo che tutto è stato fatto nel migliore dei modi, poter richiedere i propri diritti.
Il sistema economico, fondato su un uomo nuovo, maturato con una maggiore coscienza collettiva di rispetto degli altri, rinascerà anche una nuova coscienza ecologica di rispetto della natura e fattosi saggio di una conoscenza spirituale e sostanziale che guidi le proprie opere. Il sistema della produttività si dovrà compensare con un’equa distribuzione del necessario ai soddisfacimenti dei bisogni necessari all’uomo, in cambio della giusta e doverosa partecipazione collettiva al lavoro, in funzione della propria competenza: istruzione, sanità, sostentamento economico, abitazione, tempo libero garantiti a tutti.
L’equilibrio non si raggiunge per reciproche usurpazioni(oppressione e sfruttamento del lavoro, o rivolta contro il capitale e la sua distruzione) ma con la comprensione dei reciproci bisogni reali, il progresso è nella concordia e nella cooperazione. La ricchezza è una corrente che deve circolare, passando per il bene di tutti e nelle mani di tutti: essa va posseduta con spirito di povertà, cioè nella misura del necessario, cedendo il superfluo a chi meno dispone e a chi è più nel bisogno.
Molto ci sarebbe ancora da dire, ma chiudiamo come abbiamo iniziato questo articolo: la legge del Vangelo, “ama il tuo prossimo come te stesso”, rappresenta un punto di arrivo, ancora da conquistare. Essa è la perfezione, e sarà la conquista della vera giustizia economica-sociale, fondata sull’amore e la bontà, ma anche sul dovere del lavoro e della responsabilità.
Non vi sarà più posto nella vita per chi aggredisce, come per chi ruba, così anche per chi ozia. Se vediamo ora vincenti queste posizioni è solo perché queste rappresentano una illusione concessa al fine di imparare da questi errori che si pagheranno con il dolore e la rovina che rovescerà qualsiasi posizione conquistata con mezzi illeciti, senza merito, al fine di prendere coscienza dei propri sbagli e rettificarli in futuro.
Ricchi e poveri, proprietari e dipendenti, laici o credenti, non importa in che posizione formale si appartiene, sono soggetti e tutti subordinati alla legge di Dio che solo premia il merito e il valore etico della personalità.
Così il problema del benessere economico e della giustizia sociale è un problema di destino, che si crea attraverso la scelta continua, attimo per attimo di chi vogliamo essere, sempre però tenendo conto che sopra l’uomo, dentro l’uomo, e in ogni campo di conoscenza vi è la legge di Dio che tutto regge, che va ascoltata, conosciuta ed obbedita.
Bibliografia di riferimento: La Grande Sintesi, Ascensioni Umane, La discesa degli ideali, (Pietro Ubaldi)
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Bellissimo scritto🙏❤️
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Grazie Sara
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