La Divina Provvidenza

La vita è retta da leggi, intime e profonde, che reggono tutti i fenomeni e ne guidano il loro divenire.

La vita esprime nel suo intimo ordine, indistruttibilità della sostanza, causalità: tutto è retto da un equilibrio dinamico sempre in atto, automatico, fatto di giustizia. Tutto è connesso da una rete di azioni e reazioni proporzionate: alla causa segue un effetto, l’effetto è figlio di una causa, non può essere altrimenti.

L’Universo è così retto dalla Provvidenza Divina, che di fatto non è che quel principio di giustizia in atto, che compensa gli abusi, distribuisce secondo la legge del merito, ristabilendo l’ordine dove l’uomo ha creato una voragine di male, ed elargendo aiuti là dove vi è necessità e merito.

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L’essere umano non è che un piccolo punto nell’Infinito, che pensa, stoltamente, di poter fare legge a sé, stabilendo le regole del gioco, ma non fa che seminare nel proprio destino individuale un mare di dolore che dovrà necessariamente pagare. Nessuno semina nel destino degli altri, ma solo nel proprio, e tutto ritorna con esattezza matematica al mittente.

L’uomo cosa fa? Quando il dolore lo colpisce si erge contro lo strumento ignaro che ne è esecutore, che non è che la causa prossima della sua sofferenza, mentre non vede la causa più profonda e lontana e che è tutta in sé stesso.

Se non ha un capro espiatorio a cui rivolgersi, allora se la prende con Dio, accusandolo di malvagità, di cattiveria, di non intervenire a sua difesa! In questo comportamento non facciamo che mettere in risalto la nostra supponenza, la nostra ignoranza e la nostra incoscienza!

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L’uomo deve passare attraverso le forche caudine, per assimilare, per imparare, e passare dalla superbia all’umiltà, dall’ignoranza alla conoscenza, dall’incoscienza alla coscienza. Nessuno può esimerlo dalla giusta prova, nessuno, nemmeno Dio, può privarlo dall’esperienza necessaria alla propria evoluzione. Un intervento Divino che lo esuli dalla necessaria prova sarebbe di fatto un male anziché un bene, oltre ad essere un aiuto immeritato che non gli spetta.

L’essere umano, miope, vive secondo l’ottica del “carpe diem”, godiamo oggi che del domani non c’è certezza, questa è la sua filosofia utilitaria, ma il domani arriverà e ci coglierà impreparati.

Bisogna acquistare una vista lungimirante, data dalla Conoscenza spirituale, e assimilare, imbevendosi dei principi della Legge e praticarli; viverli.

La Legge dovrebbe trasudare dal nostro pensiero, dalle nostre parole e dalle nostre azioni: solo così si può essere in armonia con le forze divine, da esse sorretti e al giusto momento aiutati.

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Abbiamo visto come la bilancia della giustizia compensi al giusto tempo abusi e meriti, errori e valori, riportando tutto allo stato di equilibrio. Ogni squilibrio all’interno della Legge, durante la nostra vita nella materia, non è che una temporanea flessione, una forzata torsione che dovrà ritornare a raddrizzarsi al giusto tempo.  La Legge permette queste temporanee deviazioni solo al fine di permettere la libera sperimentazioni a cui segue la necessaria lezione che deve essere appresa. Niente di più, niente di meno.

Seguendo questa logica è facile comprendere come le nostre violazioni dovranno passare attraverso la sofferenza riparatrice, che smussa i nostri angoli, lima i nostri eccessi, e riconduce l’essere verso una riflessione interiore, al centro di sé stesso, sollecitando le sue domande più essenziali, a cui potrà trovare risposta: Perché vivo? Da dove vengo? Dove sono diretto? Perché soffro? La vita è fine a sé stessa, o mezzo per raggiungere un fine? E come deve essere vissuta la vita, per raggiungere tale fine?

Da questo momento, dal momento in cui l’essere inizia una vera e profonda riflessione sul senso della vita possiamo dire che avvenga la sua iniziazione. Una crepa è stata aperta nella corazza del proprio io, e la luce inizia ad entrare e a rischiarare la coscienza.

Anche questo allora potremmo dire essere un intervento della Divina Provvidenza, quando piegati dal dolore, da esso macerati, senza più nessun appiglio esterno, non possiamo che alzare gli occhi al Cielo e in profonda umiltà d’animo chiedere aiuto al Padre, alla Legge. Il dolore è così una grazie salvifica, una mano tesa, una forza che investe l’uomo per farlo risorgere e per salvarlo.

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Vediamo invece il caso di un individuo che ormai fattosi saggio delle leggi della vita, viva in armonia con la Legge, in armonia con i suoi principi fondamentali.

Abbiamo visto altrove come due principi cardine che ci armonizzano ad Essa, siano il principio della non-resistenza e la legge del merito.

Il principio della non-resistenza (o altrimenti detto di non-reazione), riguarda la nostra difesa, della nostra incolumità, rinunciando ad ogni forma di lotta esteriore, quindi di attacco e difesa nei confronti dei nostri simili.

La legge del merito e dell’onestà, può essere di fatto paragonata a quella della non-resistenza, per quanto riguarda la soddisfazione delle nostre necessità materiali e il diritto alla proprietà.

In entrambi i casi, l’evoluto affida alla Legge la tutela del proprio diritto alla vita. Ora questo affidarsi alla Divina provvidenza non deve farci cadere nell’errore che ci arriverà un aiuto immeritato e salvifico se non vi sono le condizioni necessarie e indispensabili.

La vita non vuole il nostro benessere ma la nostra evoluzione. Essa non è fatta per godere oziando, per sperperare e disperdere negli eccessi, ma per lottare e salire, e il godimento e il riposo è concesso là dove si è lavorato per costruire, si è fatico, sia spiritualmente che materialmente con il giusto e onesto lavoro, e per avere quel minimo indispensabile che permette all’essere umano di proseguire la sua ascensione spirituale e il mantenimento della propria condizione fisica, subordinata al lavoro dello spirito.

Noi invece facciamo tutto al contrario, viviamo per il corpo, per la materia, per i suoi privilegi, reclamando diritti ancora prima di aver fatto il nostro dovere, nell’abbondanza e nello spreco, ambendo al godimento ozioso e infecondo.

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La Legge è dunque paragonabile ad un meccanismo perfetto che sempre funziona in nostro aiuto a patto di avere le chiavi per farla funzionare.

Esaminiamo ora le 5 condizioni che fanno scattare questo meccanismo divino, in nostro soccorso:

  1. Meritare l’aiuto
  2. Avere prima fatto da sé tutto il possibile secondo le proprie forze
  3. Trovarsi, secondo le proprie condizioni, in assoluto bisogno
  4. Chiedere il necessario
  5. Chiedere umilmente con sottomissione e con fede

Non vi può essere nessuna provvidenza per i malvagi, per i pigri, per i ricchi, per gli avidi, per i superbi e gli increduli. Si manifesta ed opera per i buoni, i volenterosi, per i bisognosi, per i morigerati, per gli umili credenti e fiduciosi.” (Pietro Ubaldi, La Nuova Civiltà del III Millennio)

La prima condizione è quella di meritare. Vi sono momenti in cui è necessario essere abbandonati di fronte all’ostacolo affinché impariamo a superare la difficoltà con i nostri mezzi. Se l’aiuto non fosse meritato, una provvidenza che intervenisse sarebbe solo a nostro danno, in quanto esimerci dalla necessaria prova sarebbe un tradimento e non un aiuto.

La seconda condizione ci dice che non sono permessi condizioni di ozio e passività. L’individuo deve dimostrarsi attivo, dinamico, volenteroso nel cercare le soluzioni lecite e oneste al proprio problema. Dio è un padre amoroso e non un nostro servo: è dunque condizione indispensabile essersi rimboccate le maniche e avendo fatto tutto ciò che era nelle nostre forze.

La terza ci suggerisce come dobbiamo averne realmente bisogno. La condizione di bisogno è relativa ad ogni individuo e proporzionata alle sue necessità. La provvidenza ci darà del necessario e non il superfluo, ci darà per vivere e non per oziare e gozzovigliare. Parsimonia, temperanza, proporzione tra sforzo e rendimento sono elementi imprescindibili nell’economia della natura. Il superfluo incoraggia all’ozio e alla dissipazione, ed è contrario alle leggi della vita.

La quarta ci dice solo che dobbiamo chiedere il necessario: quanto basta per una vita semplice, perché il corpo possa essere sostenuto e mettersi al servizio dello spirito. La regola è la temperanza, cioè la moderazione degli appetiti, cioè del palpito del senso e della materia.

La quinta pone la fede, la confidenza nella Legge come condizione essenziale, nonché nell’umiltà d’animo di chiedere al Padre l’aiuto necessario. E’ l’abbandono fiducioso nelle mani del Padre, che su di noi veglia e provvede.

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Quando allora entrano in funzione queste 5 condizioni?

Il Vangelo così ci istruisce: “Occupatevi delle faccende dello spirito che tutto il resto vi sarà dato in sopravanzo”

A riguardo poniamo due esempi.

Il caso più comune, cioè colui che chiamato ad operare per la Legge, debba svolgere sia la fatica materiale, quindi un lavoro ordinario all’interno della società, alla quale dovrà aggiungervi anche la fatica di un opera spirituale, comunque primaria rispetto al lavoro umano. In questo caso l’individuo disporrà della retribuzione del suo lavoro umano, ma dovrà ottemperare comunque alla norma evangelica di vivere secondo necessità, privandosi del superfluo (quod superest date pauperibus). Senza tale condizione non mancando di nulla non potrà attendere a nessun intervento, ma soprattutto non sarà allineato alla Legge, che è la cosa che più conta. Quindi per lui, l’intervento salvifico vi può essere solo quando si pone nel vivere in modo morigerato, parsimonioso, semplice, e non nell’accumulare beni terreni, e soprattutto quando si sarà adoperato in modo altruistico ad aiutare chi è nel bisogno sia spirituale che eventualmente anche materiale.

Il secondo caso, il più raro, è colui che chiamato a missione si occupi solo ed esclusivamente delle cose dello spirito, totalmente assorbito in esse, egli non avrà tempo di occuparsi dei suoi approvvigionamenti materiali. Agli occhi del mondo, questo individuo potrebbe sembrare un inetto, poiché non produce quei beni materiali, che tanto vengono osannati e ritenuti utili ed indispensabili: al contrario costui produce il bene più grande, fecondo ed utile che vi possa essere: egli lavora per l’evoluzione dell’umanità, e non vi è lavoro più importante di questo. Ecco perché costui, quando veramente fa un lavoro sostanziale e spirituale, e non pseudo-tale, ha diritto a quell’aiuto Divino che per lui mai mancherà.

Sia nell’uno che nell’altro caso, posto le faccende spirituali come lavoro-missione, si ha diritto alla provvidenza divina. Ancora una volta vediamo come il farsi dimentichi del proprio “io” e aprendoci spontaneamente agli altri, lavorando per costruire un mondo spiritualmente migliore sia la conditio sine qua non per essere in armonia con la Legge e quindi meritevole dell’aiuto del Padre.

Biografia di riferimento: La Grande Sintesi, Storia di un uomo, La Nuova Civiltà del III Millennio (Pietro Ubaldi)

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