Partiamo per questa seconda parte da una affermazione assiomatica: la soluzione dei problemi dell’umanità sta nella sua ascensione. Non vi sono difatti mezze misure a riguardo, solo evolvendo l’uomo troverà la pace, la giustizia, la felicità a cui tanto aspira e che nell’inferno terrestre sembra impossibile trovare.
Ora se non vogliamo fare dello spirito un’utopia irrealizzabile, dobbiamo capire come avviene il passaggio da una realtà terrena fatta di continuo attrito e disordine, all’altra, quella celeste, fatta di armonia e ordine.
Come abbiamo già menzionato nella prima parte non possiamo negare le leggi vigenti nel nostro mondo, per non essere presi per sprovveduti, ma dobbiamo anche tracciare una traiettoria di superamento sicura e certa e non campata per aria sventolando teorie meravigliose ma poi inapplicabili.
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Fin dalla comparsa delle prime forme di vita sulla Terra, la lotta ha avuto un ruolo fondamentale nella selezione naturale, dando la possibilità alle forme che meglio si adattavano all’ambiente, riuscendo a difendersi o viceversa aggredendo altre forme di vita, di conquistarsi il diritto della continuazione della propria specie e di sopravvivere. I deboli, i meno dotati dalla vita venivano così liquidati.
La vita nel piano animale ed umano si comporta guidata da due istinti fondamentali: quella della conservazione individuale, e quello della conservazione-riproduzione della specie.
Quindi il primo passo è l’affermazione individuale, attraverso l’istinto di aggressione a difesa del proprio io, segue la riproduzione per la moltiplicazione di sé stessi nella prole, la lotta che segue per il suo mantenimento ed infine la selezione dei gruppi più forti.
L’istinto della guerra è così presente all’interno di ognuno di noi, innato perché è un meccanismo ancestrale che la vita ci ha innestato da generazione a generazione. Senza lotta, dunque, non vi è selezione.
Se la vita ci presenta qualcosa non possiamo che considerarla utile e necessaria. Chi scrive qui, di fatto sempre ha creduto fermamente nella sua sapienza e se qualcosa esiste ha sempre uno scopo ed una funzione, quindi una sua utilità. Così è anche per la lotta, che è funzione necessaria all’evoluzione, unico e vero scopo della vita.
L’evoluzione è un fenomeno molto complesso e universale, che comprende tutti gli ambiti dell’esistenza a tutti i livelli, dunque non può non comprendere anche la lotta, la quale anch’essa si evolve: “la forma di lotta è l’indice del proprio piano evolutivo. Dimmi come e per cosa lotti, e ti dirò chi sei. La lotta, condizione di conquista, non si estingue mai nella vita. Ma ne mutano con l’evolvere la forma, gli scopi e le realizzazioni” (Pietro Ubaldi, Problemi dell’Avvenire)
In termini generali, nel passato la lotta era sanguinaria, violenta, fatta di scontri fisici, prima di artigli e zanne a livello animale, poi di spade e fucili a livello umano, dove gli uomini si lanciavano gli uni contro gli altri per la conquista di un territorio, guidati dal desiderio di espandersi, per difendere i propri confini e il proprio gruppo o popolo. Attacco e difesa sono i cardini del nostro vivere. Chi vince, ed è più forte e temibile ha il diritto di comandare, chi più debole non ha alcun diritto e deve subire.
Rispetto però al passato focolai di luce si intravedono e la società incomincia vagamente a capire l’assurdità di odiarsi l’uno con l’altro, dell’improduttività di un tale atteggiamento belligerante. I paesi che più hanno combattuto sono quelli che meno vogliono combattere, la vecchia Europa è meno belligerante dei relativamente nuovi Stati Uniti d’America. I paesi espansionisti sono quelli che hanno conosciuto meno le atrocità della guerra.
Detto ciò la lotta ha assunto e sta assumendo nuove forme di espressione. L’essere umano inizia a comprendere l’assurdità della lotta animale: si condannano sempre più gli atti dell’uso della forza, per quanto siano ancora vigenti in alcuni ambiti.
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La legge che guida la biologia universale ammette la lotta avendo come unico scopo la costruzione della coscienza. Così a seconda del piano raggiunto dalla nostra coscienza ci spetta una lotta adeguata e necessaria per il suo continuo progresso.
Ecco che allora la vita non si forma alla selezione del più forte, che di fatto può essere anche il più prepotente e il più ingiusto, al superuomo di Nietzsche, e se lo accetta, lo fa solo come temporanea fase, come esemplare di un determinato livello, con un suo ruolo e un suo scopo, ma che deve e sarà necessariamente superato da un piano biologico superiore e da un essere migliore e più civilizzato.
È così che attraverso le diverse sperimentazioni, le lotte che l’essere umano è chiamato ad affrontare nella vita è guidato, anche a sua insaputa, verso il superamento del suo attuale livello di coscienza, qualunque esso sia.
La lotta si fa tanto più cruenta quanto più basso è il livello evolutivo. Lo scontro è tanto più violento e sanguinoso tanto più si è vicino al piano bestiale che a quello umano. Per contro la lotta si addolcisce in un certo qual modo, anche se sempre ha il segno del dolore e della sofferenza, in piani più elevati e civilizzati di vita.
Ai primi gradini della vita vige il trionfo del più forte, ai gradini successivi il trionfo passa a chi è più intelligente, anche se spesso, la vittoria immediata sembra essere in mano ai più furbi e astuti, che hanno imparato ad usare l’intelligenza al negativo. Solo un domani la vittoria sarà riconosciuta a chi è più giusto ed onesto, e che quindi usa l’intelligenza in senso positivo.
Così dal superuomo della forza, si passerà al superuomo spirituale – l’uomo evangelico -.
Il Vangelo rappresenta tuttora il completo ribaltamento dei valori umani in Terra. Rappresenta un passaggio biologico dallo stato inferiore a quello superiore, ma diventa necessario spiegarlo alla luce dell’intelligenza odierna, comprendendolo in forma positiva, come vuole la scienza di oggi e la forma mentis dell’uomo moderno.
“Il Vangelo ha affrontato direttamente la legge del piano animale contrapponendole un’altra legge, di un piano superiore, in cui per evoluzione la prima dovrà necessariamente capovolgersi. Ciò col Discorso della Montagna che è il rovesciamento dei valori umani, in altri opposti, in cui i vinti appaiono vincitori e i deboli forti.” (Pietro Ubaldi, Problemi dell’Avvenire)
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Osservando la vita e la natura, è indubbio che essa ammetta la generazione dei deboli e dei malati, pur presentando a loro un conto molto salato, non si oppone alla loro nascita. Se la vita ammette anche la presenza dei deboli è perché evidentemente anch’essi stanno compiendo un lavoro, un percorso. Se l’unico fine della natura fosse dunque la selezione del più forte, questo fine non sarebbe stato raggiunto, dato che la malattia, fisica e quella della mente, sono sempre esistite e sempre probabilmente esisteranno nel nostro piano biologico.
Se la vita permette esistenze di solo dolore, è allora evidente che il suo fine non sia quella della selezione del più forte. La vita non spreca nulla, e tutto ha una sua funzione ben precisa. Certo non dobbiamo limitarci a considerare vita solo quello che ha una forma organica, fisica, che ha una forma e che percepiamo con i nostri sensi.
La nostra visione di vita è molto più ampia ed abbraccia la sfera del pensiero, dell’immateriale, dell’imponderabile vita dello spirito e del suo organo di manifestazione la coscienza.
Così la vita ha come fine la costruzione proprio della nostra coscienza. Ed il dolore è strumento indispensabile per questo fine. Non vi è come il dolore che macera l’anima per farla maturare, ed ecco che i deboli e gli sconfitti della vita, i vinti per gli occhi del mondo, traggono dalla sofferenza lo strumento per forgiarsi nuove e più grandi qualità, cosa da cui invece è escluso il vincitore.
Così la posizione del vincitore, spesso il più prepotente, il più forte, o il più furbo, occupa una posizione transitoria di successo, che non gli conferisce vittoria se non sul suo piano di esistenza, ma una sconfitta su un piano più elevato.
Il vincitore della forza e lo scaltro sono, così, in realtà dei perdenti, perché la loro immediata vittoria, si rovescerà in una sconfitta non appena abbandoneranno il loro ambiente ideale, cioè la Terra e il livello di vita a cui appartengono. Il vinto, che spesso sulla Terra è il buono, l’onesto, il sincero, preda facile per l’uomo-lupo, in realtà sarà un vincitore, quando si troverà collocato nell’ambiente che più gli appartiene, cioè quello spirituale.
Ecco che incominciamo a intravedere la logica che sta dietro alle beatitudini del Discorso della Montagna, dove il vinto sul piano della forza, è un vincitore sul piano dello spirito, e dove il vincitore sul piano della forza è uno sconfitto sul piano dello spirito. Le due posizione vinto e vincitore sono relative al piano di vita a cui appartengono, solo che tra i due piani è quello della forza a dover essere superato per evoluzione da quello spirituale, unico e vero vincitore ab-eterno.
Fine seconda parte
Biografia di riferimento: Problemi dell’Avvenire (Pietro Ubaldi)
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